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giovedì 30 settembre 2010

l'inutile ribellione

Condivido questo eccellente articolo che approvo in pieno preso da Il Post redatto il 23 settembre da Marco Simoni:

La solfa della ribellione è una stronzata


Il titolo è insolito ma necessario, per sottolineare e spiegare meglio quanto ho scritto in maniera troppo criptica e indiretta nel pezzo di un paio di giorni fa. In realtà, nonostante la sintesi, alcuni commenti di critica al mio pezzo hanno colto bene quel che intendevo dire e mi preme ribadirlo in maniera più diffusa.
Uno dei primi passi concettuali da fare, secondo me, per arrivare a un rapporto diverso della società e del suo discorso pubblico con le generazioni dei giovani adulti italiani è quello di liberarsi della solfa della ribellione. Si tratta di una stronzata, come da titolo, che ha l’unica pessima funzione di contribuire a di tenere i giovani adulti italiani in uno stato di perenne giogo e subalternità intellettuale rispetto agli adulti anziani e vecchi che ancora muovono i fili delle decisioni in Italia.
Infatti, questa retorica della ribellione è un prodotto della subcultura degli anni settanta, ossia dei luoghi comuni più triti e conformisti, secondo cui una immaginaria generazione a cavallo dei sessanta e settanta avrebbe conquistato grandi diritti che successivamente sono stati mano mano tolti alle generazioni successive, imbelli e anche un po’ imbecilli. Da un punto di vista giuridico, questa è una fesseria. Il cosiddetto statuto dei lavoratori, che contiene la serie fondamentale di diritti del lavoro negata alle generazioni giovani, è largamente un parto della cultura politica socialista, del PSI, ed è il portato di rivendicazioni e lotte sindacali decennali che negli anni sessanta, grazie ad un mutato contesto politico e sociale, al boom industriale e, soprattutto, all’esistenza della democrazia rappresentativa, hanno avuto la possibilità di essere tradotti in legge.
Non discuto qui le conquiste degli anni Sessanta e Settanta sul piano dei costumi – ammesso che abbia senso chiamarle conquiste – derivate dalla ribellione della generazione degli attuali anziani. Sarebbe anche interessante capire cosa ci fosse di così eroico nell’usare la liberta individuale, garantita dalla democrazia, per fare cose che in tempi diversi, e senza democrazia, i loro genitori non avevano potuto fare. Ma appunto, non ne discuto perché è un tema diverso.
Qui si sta discutendo invece di quell’artificio retorico, spesso usato dagli anziani ma a volte anche dai giovani adulti, come alcuni commentatori del mio post di ieri, secondo cui in fondo in fondo la responsabilità della situazione di giogo ed oppressione, economica e sociale, a cui sono sottoposte le generazioni giovani in Italia è degli stessi giovani e della loro incapacità di ribellarsi. Tralasciamo la questione della sindrome di Stoccolma, o dell’inversione dell’onere della prova. Quando mai la responsabilità, la colpa, di soprusi, umiliazioni o, più semplicemente, ingiustizie, è di chi le subisce? Quale colpevole spregio della logica e della realtà è necessario compiere per affermare queste cose? Oppure quale transfer psicologico e profonda sudditanza nei confronti della generazione precedente, quella che invece sì, si sarebbe ribellata. Ma quando si è ribellata? A chi si è ribellata, ottenendo cosa? Questo non viene mai discusso, confondendo la lotta di classe – che è esistita e tramontata per ragioni che non hanno nulla a che vedere con le generazioni – con le diversi classi di età. E non si riflette neanche sul fatto che se esistono le ingiustizie e le oppressioni, la ragione tecnica – stiamo quindi entrando nel campo delle tautologie – è che c’è qualcuno che opprime, c’è qualcuno che perpetra l’ingiustizia. Per opprimere bisogna avere potere, essere più forti, avere capacità di ricatto: senza quella forza nessuno può opprimere. Molto spesso, innanzitutto, se non ci si ribella è perché non ci si può ribellare, perché non si è nelle condizioni di fare altro.
Una delle ragioni fondamentali del fatto che in Italia i giovani stanno male, per essere sintetici, poi certo ci sono le eccezioni, ed hanno una prospettiva meno rosea di quella dei propri genitori all’età loro, è che l’economia italiana non cresce. Non cresce, e quindi ci sono meno posti di lavoro. Ci sono meno posti di lavoro e quindi per ogni posto ci sono cinquanta candidati e il salario, e le condizioni di lavoro di quello che effettivamente prende il posto sono peggiori. Il lavoro gratis all’università e negli studi professionali, il praticantato sfruttato, non sono una novità. La novità è la loro estensione e il fatto che non finiscono mai. E la ragione principale di questo è che l’economia è ferma da venti anni. E una delle ragioni principi di questa stagnazione è il debito pubblico enorme, galattico, esagerato, che l’Italia ha accumulato negli anni ‘80, per cui non c’è una lira per fare nulla: non c’è una lira per la metropolitana in più che serve, non c’è una lira per la ricerca, non c’è una lira per un nuovo piano di investimenti nella green economy, non c’è una lira. Poi, non è esattamente così, nel senso che una politica economica migliore potrebbe anche essere fatta. Ma non attraverso la creatività che finora ha dimostrato la classe politica. Ma anche questo è un altro discorso e un altro dibattito.
Ad ogni modo, il debito pubblico sta là e l’Italia all’inizio degli anni ’90 stava collassando, e i decisori politici, sindacali, industriali, hanno deciso di scaricare il costo del collasso evitato sui giovani. Come? Chiedendo loro di tirare la cinghia. Non dando loro alcun servizio di assistenza (indennità di disoccupazione e asili nido), tagliando le loro pensioni, flessibilizzando il loro lavoro. Naturalmente, questo non bastava a risollevare l’economia, ma basta a galleggiare e si galleggia da vent’anni.
Ora, quando mi riferivo alla generazione della responsabilità e dei sacrifici, mi riferisco all’atteggiamento medio che io, senza statistiche ma con strumenti di stima spannometrica e aneddotica, posso testimoniare, e credo vada apprezzato e sottolineato. Parlo della maturità con cui le generazioni degli anni Settanta e Ottanta, prive delle ideologie irresponsabili e immature dei loro genitori, hanno affrontato la situazione che si sono trovati a vivere. Maturità, serietà e spirito di sacrificio che non c’entrano nulla col fatto che non si tratta di una situazione scelta ma di una situazione imposta. Pur nella enorme diversità, anche la generazione dei loro nonni si trovò – durante e immediatamente dopo la guerra – in situazione di grandi difficoltà, individuali e collettive, affrontate con la stessa tenacia e serietà, con pochi fronzoli e grilli per la testa, e il risultato di far diventare l’Italia un paese ricco. Anche loro non si scelsero quei sacrifici, non per questo rimangono sacrifici di minor valore, al contrario. Vogliamo paragonare i risultati delle generazioni nate negli anni ‘10-‘30 a quelle nate negli anni ‘30-‘50? No, ecco, è meglio non fare paragoni tra le generazioni.
Infatti, quello che sostengo non ha alcun bisogno di paragoni, ma solo di un po’ di onestà intellettuale. È necessario riconoscere e valorizzare la maturità, la serietà e il valore sociale del lavoro svolto oggi dalle generazioni dei giovani adulti, caratterizzato da grandi sacrifici che hanno contribuito ad evitare il collasso del paese. Un lavoro svolto in condizioni personali e sociali molto difficili. Qualora si sottostimasse invece il lavoro svolto, si ignorasse l’importanza e il valore di quei sacrifici, sarebbe allora il tempo della reazione.
La protesta dei ricercatori di Bologna, caso raro in cui un gruppo di persone relativamente giovane è riuscito a sottrarsi ai tanti ricatti individuali ed è riuscito ad organizzare una azione collettiva, proprio per questo è emblematico: perché è una protesta che ha al centro l’orgoglio per la funzione indispensabile da essi svolta per la propria istituzione, funzione che non può essere ignorata, o trattata con alzate di spalle come hanno fatto le autorità accademiche, umiliando una volta in più l’istituzione che dovrebbero tutelare.
Dunque, per portare alle giuste conseguenze, tra le quali può essere la protesta, ma c’è anche il voto, la partecipazione politica, l’espressione pubblica delle proprie idee, eccetera, il proprio orgoglio per il contributo che si da al proprio paese, e alla sua economia e società, bisogna innanzitutto avercelo, l’orgoglio. Avere la consapevolezza che se già l’Italia annaspa, senza i sacrifici dei suoi uomini e donne più giovani lo stivale sarebbe affondato nel Mediterraneo da un pezzo, lasciato nelle mani degli attuali leader diffusi. L’orgoglio deriva allora da questa consapevolezza, e le fuffe sulla ribellione che, a differenza del passato, mancherebbe, vanno gettate nel luogo che meritano da cui il titolo di questo post."

sabato 25 settembre 2010

Lo spazio delle Start-up in Italia

Nelle settimane scorse, dopo la lettere aperta dei fondatori di Mashape, si è scatenato un interessante dibattito sulle possibilità di fondare Start-up in Italia.
Nello stesso periodo sono stati pubblicati i risultati del'EU Regional Competitiveness Index che mostra gli indici di competitività di ogni regione dell'UE ed i risultati del sistema Italia non sono stati del tutto brillanti. 
Questo potrebbe far credere che i ragazzi di Mashape abbiano ragione ma invece ho avuto modo di vedere che qualcosa si sta muovendo.
L'attuale congiuntura economica ha fatto riscoprire l'importanza delle Start-up, del loro ruolo nel veicolare nell'innovazione nel mercato, nel creare posti di lavoro qualificati e nello sviluppo di nuovi prodotti/servizi.
Per esperienza personale ho assistito a molte iniziative per stimolare lo Start-up di nuove iniziative imprenditoriali.
Da convegni, corsi e dibattiti fino a Start-up competition che mettono in palio un discreto quantitativo di finanziamenti per coltivare la fase di seed dello Start-up.
Certo il missmatch tra domanda ed offerta è molto alto ma con una buona idea, le giuste competenze ed un business plan accurato si può accedere ai premi in palio.
Spesso però anche allo stesso Working Capital di Telecom si vedono idee poco innovative, dalla dubbia fattibilità ed a volte perfino off-topic.
Se si continua su questa strada forse anche in Italia si vedranno start-up di successo!!!!!

giovedì 9 settembre 2010

Lettera aperta all’Italia, investitori e startup

“Dove credete di andare, avete solo 19 anni e siete in Italia.”
Vorrei prima di tutto ringraziare Davide per opportunità datami nel cercare di spiegare certi meccanismi di questo paese chiamato Italia.
Ciao a tutti, sono Augusto, co-founder di Mashape, una startup in Silicon Valley che vuole rivoluzionare il modo di creare applicazioni web e mobile. Ma facciamo un passo indietro a quando eravamo dei bambini inconsapevoli che volevano giocare a fare i grandi “siamo ancora dei bambini, e giochiamo e ci divertiamo come loro, solo che adesso abbiamo un po di barba :-) “.

A 18 anni fondai MemboxX, il primo sito italiano di online storage di documenti e password. Andò bene, raggiunse un buona massa critica, ma non sapevo niente di business, Venture Capital, né di finanziamenti… niente di niente. Non sono mai riuscito a monetizzarlo. In quei mesi comprai un libro: “Google e gli altri” che narrava nel dettaglio la storia di Google e della Silicon Valley. Mi si accese una lampadina e da quel giorno ho detto: “Lì voglio andare, lì potrei forse creare grande valore”. Era il 2007 ora siamo nel 2010 e sono finalmente sbarcato a San Francisco grazie a Mashape; cofondata con Marco Palladino e Michele Zonca, qui abbiamo preso il nostro investimento dai YouTube guys. Questo processo non e’ stato facile, altri avrebbero mollato molto prima.
Avete presente quando siete in una stanzetta piena di persone, e l’aria si inizia a fare pesante… ma alla fine si apre la porta e entra una ventata di aria fresca e riniziate a respirare a pieni polmoni come se quello fosse stato il vostro primo respiro? Be, questo è quello che è successo a noi, nelle ricerca disperata di finanziamenti in Italia durata per 2 anni; e poi l’America, investimento, quella porta che si apre… ricominci a vivere e credere che forse non eri del tutto un idiota pazzo.
Tu sei il mio paese, Italia; ci sono nato e cresciuto, qui ho i miei ricordi più importanti, qui mi sono formato, è come il primo amore che non si dimentica mai. Ma come tutte le più belle storie di amore prima o poi finiscono. In questi due ultimi anni insieme ho capito molto di te, ho capito molto più di te in questi ultimi due anni che prima.
Nel 2008 abbiamo iniziato a cercare i finanziamenti per Mashape, eravamo solo io e Marco all’epoca, poi nel 2009 si è aggiunto Michele e via su e giù per lo stivale… per 2 anni. Ora 2 anni per uno che ne aveva 19 sono piu del 10% della sua vita spesa a rincorrere ideologie che in questo paese non esistono.
Vedi Italia se vuoi diventare un pease leader devi prima risolvere dei problemi alla base, e dove anche ci fosse la volontà, ricordati che ci vogliono decenni non mesi. A Roma in una famosa piazza c’è scritto in gigante: “…un popolo di combattenti, navigatori, esploratori, poeti, avventurieri, scrittori, viaggiatori, ed eroi”. Questa frase mi fa sentire orgoglioso, perché è vero, lo eravamo… ma se penso ad adesso e a tutti quelli investitori&vari che ho incontrato in questi due anni, (circa 50 persone) vi posso dire con rammarico che quel popolo non esiste più.
Ogni volta che andavamo a chiedere i finanziamenti, la risposta era sempre la stessa: avete solo 19 anni. Il problema è che questo immenso vantaggio loro lo vedevano come un ostacolo. Mi dicevano che non eravamo in grado di far crescere una società ed è vero probabilmente non sono in grado, ma qui stiamo parlando solo di farla partire… se poi crescerà chiamerò chi è più bravo di me. Dove non arrivo, delego e do fiducia ad altri più in gamba.
Probabilmente si sono anche dimenticati gli ultimi 4000 anni di storia. Da Alessandro Magno a Mark Zuckerberg le più grandi talentuose opere sono state fatte da under 30. Mentre io a 19 anni andavo a rompere le scatole su e giù per l’Italia, Alessandro Magno comandava 200.000 soldati, conquistò l’Asia e scese giù in Egitto dove si fece incoronare faraone. Aveva appena compiuto 21 anni. Oggi non si combatte più… gli imperi di una volta oggi si chiamano multinazionali, gli eserciti sono diventati team di persone. Oggi l’Asia la conquisti con Facebook che tira su 15 milioni di asiatici (signup) al mese. Oggi Alessandro si chiama Mark, e guarda caso entrambi iniziarono molto presto. Nel tardo ottocento un giovanotto, immigrato italiano, di nome Amadeo iniziò a fare il banchiere in California con un carro di frutta, quel banchiere fondò la più grande banca del mondo che oggi tutti conosciamo con il nome di Bank of America. Albert Einstein scrisse la prima bozza sulla Teoria della Relatività quando aveva solo 26 anni. I fondatori di Google ne avevano 25 quando fondarono l’azienda ma iniziarono a lavorare sull’algoritmo (Pagerank) a 23 anni e poi ancora Microsoft, Oracle, Apple… purtroppo non basterebbe lo spazio di questo blog per elencarvi tutte le immense opere fatte da under 30…
Ma secondo voi perché il genio compare in età cosi “prematura”? Sinceramente non lo so. Il genio, l’idea, il lampo non è altro che una combinazione incredibilmente perfetta di elettricità che scorre sui nostri neuroni. Ma da lì in poi ci vuole carattere e coraggio (che sono infusi nel nostro DNA) per concretizzare. La scintilla da sola non basta. Sicuramente sei molto piu coraggioso a vent’anni, il carattere anche è molto piu arrogante e l’ego è alle stelle, e guarda un pò… sono proprio le caratteristiche di un leader visionario.
Non voglio fare l’ennesima rassegna negativa sugli investitori e sui Venture Capital italiani; e sapete perché? Perché dopo tutto non è neanche colpa loro.
Cara Italia se vuoi cambiare devi investire sui giovani, ma non come lo dicono i politici in televisione, ci devi investire veramente, devi metterci la passione. Nei nostri ultimi due anni di convivenza, ho visto tanti ragazzi come me che non sono riusciti a partire perché non hanno trovato in te il supporto. Pensa quanti di quelli avrebbero potuto creare valore per te… e per ogni ragazzo che fallisce o emigra perdi un pezzo di anima. Ci sono degli investori che vorrebbero aiutarci, ma non ci riescono da soli, hanno bisogno di un ecosistema sotto che gli aiuti, hanno bisogno di un mercato a cui possono rivendere il valore aggiunto che hanno creato, hanno bisogno di leggi che allegeriscano il carico fiscale, hanno bisogno di università che insegnino anche la pratica… d’altronde stanno semplicemente credendo nei tuoi figli. La tua sorella Francia lo ha capito da anni, e sta investendo a ritmi sbalorditivi anno dopo anno… non lasciarti uccidere così. L’unico modo che hai per sopravvivere è investire in innovazione e giovani, loro sono i primi che usano nuovi prodotti e sono i primi ad accorgersi dei nuovi problemi e creare quindi nuove soluzioni. Innovare non è per niente semplice, tu sei un paese pieno di persone che inventano nuove tecnologie, ma la tecnologia da sola non serve a niente, diventa innovazione quando ha adoption, quando viene applicata sulla massa, il mondo è pieno di tecnologie potenti che non sono andate da nessuna parte.
Innovazione è qualcosa che viene dai margini di una cultura, è chaos. Non a caso San Francisco è una citta che accoglie tutti: disadattati, barboni, ricchi, hippie, arabi, pazzi, imprenditori, asiatici, messicani, italiani, designer, artisti… un miscuglio di culture in continua evoluzione, senza freni né limiti.
Purtroppo credo che molti dei tuoi problemi vengano anche dal tuo passato. Sei un paese vecchio, che ti porti dietro certe ideologie fin dal lontano medioevo. Non capisco come fai a vedere malamente il concetto di fallimento, non hai idea di quante cose impari fallendo, di quanto cresci quando fallisci. Il nostro rapporto si è interrotto, ed è stato un fallimento; eppure mi hai dato del valore, lo hai fatto ferendomi ma mi hai reso una persona migliore.
E’ giunto il momento di salutarti, spero che un giorno potremmo rincontrarci, e chissà… magari mi stupirai…
Buongiorno America, grazie di credere in noi e nella nostra vision. Certo non sei un paese facile neanche tu, ma riesci subito a capire ciò che è giusto ed è sbagliato. Sei un paese relativamente giovane, e per fortuna non hai scheletri nell’armadio vecchi di 2000 anni. Sei molto competitivo, ma se uno ha voglia di fare sai ricompensare immediatamente. Credi fortemente nei ventenni, e sai che se vuoi rimanere leader devi dare loro gli strumenti per poter creare le loro pazzie, come hai fatto con noi. Devi ancora migliorarti su qualche cosa come le leggi sull’immigrazione, ma ti do fiducia, so che ce la farai. Con te mi sento libero di esprimermi, di provare, e soprattutto mi sento felice di sbagliare. Mi dai la libertà di vivere. Spero di poter ricompensarti della fiducia che mi hai dato, credo che insieme costruiremo grande cose… cheers!
Per concludere, se posso dare un consiglio alle migliaia di ragazzi (e ne ho incontrati tantissimi) che ancora rispecchiano quella frase scritta in una piazza romana; voi siete cavalli da corsa e i cavalli da corsa non sono fatti per stare nei maneggi. Correte e andate a conquistarvi quello che volete, nitrire nelle stalle non serve a niente, sfondate i recinti e cambiate lo stato dell’arte, rincorrete la vostra libertà. Ricordate che dovrete vivere nella solitudine, faranno di tutto per fermarvi, soffrirete e sacrifirete l’affetto di chi vi ama veramente, ma quando sarete lì, che correrete come pazzi, vi sentirete per la prima volta… immensamente grandi.
Lasciate l’Italia se l’amate veramente, diventate un cavallo da corsa, vincete tutto, e poi un giorno forse, potrete tornare da grandi, molto grandi e avrete il potere per cambiarla, voi.

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