Quali sono le caratteristiche di una startup che opera nell’area dei social media, del web 2.0, del software as a service e via dicendo? A me vengono in mente le seguenti:
Bassi costi di avvio
Spesso la startup ha per oggetto un servizio tecnologicamente facile da produrre e le risorse necessarie sono rappresentate principalmente dal tempo di chi lavora per progettare il servizio, sviluppare l’applicazione, costruire una community di utenti. Il resto è da considerarsi essenzialmente una commodity: si usa quasi sempre software open source; i costi per hosting e connettività sono molto bassi; ci sono molte aziende che regalano alle startup i propri prodotti (es. Microsoft), server virtuali e banda (es. Telecom Italia, Sun, Top-Ix).
Spesso la startup ha per oggetto un servizio tecnologicamente facile da produrre e le risorse necessarie sono rappresentate principalmente dal tempo di chi lavora per progettare il servizio, sviluppare l’applicazione, costruire una community di utenti. Il resto è da considerarsi essenzialmente una commodity: si usa quasi sempre software open source; i costi per hosting e connettività sono molto bassi; ci sono molte aziende che regalano alle startup i propri prodotti (es. Microsoft), server virtuali e banda (es. Telecom Italia, Sun, Top-Ix).
Basse barriere all’ingresso
Le barriere all’ingresso sono normalmente molto basse sia per via dei costi di avvio che per l’impossibilità o inutilità di ricorrere ai brevetti. I motivi sono molti: risulta difficile proteggere un pezzo di interfaccia web dimostrando la sua unicità; in Europa, il software è considerato un’opera dell’ingegno come una canzone o un testo letterario e quindi non è brevettabile; i brevetti sono molto costosi soprattutto se si aspira ad ottenerli per tutto il mondo; basare sulla tutela della proprietà intellettuale la propria strategia competitiva significa anche essere disposti a spendere molti soldi in costosi avvocati specializzati.
Le barriere all’ingresso sono normalmente molto basse sia per via dei costi di avvio che per l’impossibilità o inutilità di ricorrere ai brevetti. I motivi sono molti: risulta difficile proteggere un pezzo di interfaccia web dimostrando la sua unicità; in Europa, il software è considerato un’opera dell’ingegno come una canzone o un testo letterario e quindi non è brevettabile; i brevetti sono molto costosi soprattutto se si aspira ad ottenerli per tutto il mondo; basare sulla tutela della proprietà intellettuale la propria strategia competitiva significa anche essere disposti a spendere molti soldi in costosi avvocati specializzati.
Crowdsourcing del product management
Non è necessario investire risorse in ricerche di mercato, in quando gran parte del product management può essere fatto online: gli imprenditori 2.0 più intelligenti mettono in campo da subito una strategia di ascolto e di coinvolgimento degli utenti più attivi facendo leva sulla loro disponibilità e sulla voglia di dimostrare la propria competenza per vedersi riconoscere un ruolo. Esistono anche alcune piattaforme specializzate nel gestire questi processi, come Uservoice.
Non è necessario investire risorse in ricerche di mercato, in quando gran parte del product management può essere fatto online: gli imprenditori 2.0 più intelligenti mettono in campo da subito una strategia di ascolto e di coinvolgimento degli utenti più attivi facendo leva sulla loro disponibilità e sulla voglia di dimostrare la propria competenza per vedersi riconoscere un ruolo. Esistono anche alcune piattaforme specializzate nel gestire questi processi, come Uservoice.
Perpetual beta
E’ possibile partire con un prototipo imperfetto e farlo evolvere gradualmente, consolidando sia l’esperienza d’uso del servizio che gli aspetti tecnologici. D’altro canto, è inutile inserire da subito decide di funzionalità che gli utenti non useranno mai, mentre è molto più efficiente aggiungere un tassello alla volta. Allo stesso tempo nelle fasi iniziali è prematuro preoccuparsi troppo di aspetti come la scalabilità di una piattaforma quando questa ha solo poche migliaia di utenti.
E’ possibile partire con un prototipo imperfetto e farlo evolvere gradualmente, consolidando sia l’esperienza d’uso del servizio che gli aspetti tecnologici. D’altro canto, è inutile inserire da subito decide di funzionalità che gli utenti non useranno mai, mentre è molto più efficiente aggiungere un tassello alla volta. Allo stesso tempo nelle fasi iniziali è prematuro preoccuparsi troppo di aspetti come la scalabilità di una piattaforma quando questa ha solo poche migliaia di utenti.
Creazione di sistemi aperti
Le aziende che si muovo in territori che non hanno ancora dimostrato di generare business e profitti, tendono a mettere in comune i propri patrimoni di dati rendendoli accessibili tramite web services. Lo hanno fatto con successo Facebook e Twitter e oggi è una strada che percorrono in molti con l’obiettivo di costruire degli ecosistemi in cui assumere il ruolo di piattaforma abilitante. Un esempio da seguire in quest’area è sicuramente Foursquare, che ha adottato una filosofia di apertura totale.
Le aziende che si muovo in territori che non hanno ancora dimostrato di generare business e profitti, tendono a mettere in comune i propri patrimoni di dati rendendoli accessibili tramite web services. Lo hanno fatto con successo Facebook e Twitter e oggi è una strada che percorrono in molti con l’obiettivo di costruire degli ecosistemi in cui assumere il ruolo di piattaforma abilitante. Un esempio da seguire in quest’area è sicuramente Foursquare, che ha adottato una filosofia di apertura totale.
Capitale sociale
In molti settori, la fase di startup serve a industrializzare una tecnologia e a brevettarla costruendo così il capitale di conoscenza da monetizzare con l’attività aziendale. Nell’area del web 2.0, spesso e volentieri il capitale da costruire è sociale consiste nell’aggregare un numero sufficiente di utenti attorno al servizio per generare una massa critica che permetta di innescare l’effetto rete. Gli utenti e i dati che essi generano sono il vero asset della maggior parte di startup 2.0, anche se spesso gli imprenditori non ne sono pienamente consapevoli.
In molti settori, la fase di startup serve a industrializzare una tecnologia e a brevettarla costruendo così il capitale di conoscenza da monetizzare con l’attività aziendale. Nell’area del web 2.0, spesso e volentieri il capitale da costruire è sociale consiste nell’aggregare un numero sufficiente di utenti attorno al servizio per generare una massa critica che permetta di innescare l’effetto rete. Gli utenti e i dati che essi generano sono il vero asset della maggior parte di startup 2.0, anche se spesso gli imprenditori non ne sono pienamente consapevoli.
Simbiosi
Una strategia molto comune per sviluppare una comunità di utenti in tempi rapidi è utilizzare la base utenti di altri servizi, come Facebook o Twitter. Si pensi, per esempio aZynga, che ha sviluppato una serie di giochi accessibili unicamente da Facebook, oppure a tutti quei servizi e applicazioni che sfruttano le api di Twitter. Si tratta di una vera e propria forma di simbiosi in cui c’è un reciproco beneficio: la startup accede a un bacino molto vasto di potenziali utenti; la piattaforma diventa sempre più centrale e indispensabile nell’ecosistema.
1 commento:
pienamente d'accordo con te. tanto è vero che noi da tempo la stiamo applicando al nostro lavoro e alle nostre campagne. il Web 2.0 non è più il futuro, ma un presente che è già in atto.. :-) chi se n'è accorto solo ora ha già perso un pò di tempo..e denaro :-)
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